Stasera voglio condividere con te il mio elaborato di Antropologia del Gusto, l’ultimo esame (e un bel 30 e lode!) che ho dato prima di laurearmi in Scienze, culture e politiche dell’enogastronomia. Come elaborato il professore ci ha chiesto di fare un tema libero scegliendo una tra le tre tracce che ci ha dato e io ho scelto questa:”I testimoni del cambiamento nella cultura alimentare italiana del secondo Dopoguerra“. Sento parlare di Luigi Veronelli da dieci anni. L’ho citato innumerevoli volte, ma non ho mai scritto di lui. Questa è la prima volta. Inoltre vorrei ringraziare il mio professore Sergio Vitolo perchè era da diciotto anni che non scrivevo un tema. In questi anni ho scritto diversi libri e centinaia di articoli su questo wine blog, ma nessun tema. Mi sono emozionata.
Ho avuto la fortuna di avere un professore straordinario, Giovanni Zanzi, che mi ha insegnato non tanto a scrivere – cosa per cui ero naturalmente portata dato forse il mio essere un’ingorda divoratrice di libri fin dalla tenera età – ma a comunicare. Ho ancora tutti i ventiquattro temi che scrissi con lui negli ultimi tre anni di liceo e non mi vergogno a dire che grazie a lei sono andata a riaprire quella vecchia busta perchè mi ricordavo che per fare un buon tema e non perdersi per strada serviva “la scheda”, ma non ricordavo esattamente come era fatta.
Ho messo giù la scheda cercando di fare mia la sua traccia e per farlo ho guardato 3 puntate di A tavola alle 7 che ho trovato su Rai Play. Spero che questo tema le piaccia, a me ha fatto venire voglia di leggere “Il Gastronomo” di Veronelli e ho appena comprato una copia della rivista dedicata allo Champagne del 1960!
Ho scelto tre tra gli autori del Novecento che ho studiato nelle sue lezioni. I primi due argomenti sono dettati da due contemporanei culturalmente contrapposti tra loro: Emilio Sereni (partigiano) e Guido Piovene (fascista). Tesi e antitesi si rincorrono per tessere il passaggio dalla sopravvivenza al consumo poi sancito da Luigi Veronelli (anarchico) con una nuova dimensione del gusto.
Per prima cosa ho deciso di inquadrare gli intellettuali italiani nel loro contesto di nascita e di vita. Lo stesso studio delle sue lezioni mi ha insegnato che “l’azione si concepisce se compresa in un contesto” (M. Augè). Il contesto familiare, l’orientamento politico, gli studi e il lavoro sono preziosi indicatori.
Emilio Sereni
Emilio Sereni (Roma 1907 – Roma 1977) è stato uno scrittore, politico e storico italiano nato da una famiglia ebraica di intellettuali antifascisti. Laureato in Agraria e iscritto al Partito Comunista, dopo anni nella Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale, fu due volte ministro con Alcide De Gasperi: dal 1946 al 1947 fu Ministro dell’Assistenza Post-Bellica e nel 1947 fu Ministro dei Lavori Pubblici. Dal 1948 al 1963 fu Senatore della Repubblica Italiana per poi diventare direttore della rivista teorica comunista Critica Marxista. La sua conoscenza delle lingue – inglese, tedesco, francese, russo, greco, latino, ebraico, giapponese e alcune lingue morte cuneiformi – gli consentì di studiare da una vastità di libri e gli donò una cultura poliedrica. Prolifico scrittore, compose ben 1071 scritti, tra i quali ebbero un particolare successo: Storia del paesaggio agrario italiano, La questione agraria nella rinascita nazionale italiana e il Capitalismo nelle campagne.
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Guido Piovene
Guido Piovene (Vicenza 1907 – Londra 1974) è stato uno scrittore e giornalista italiano nato da una famiglia nobile del patriziato veneziano. Laureato in Filosofia e iscritto al Partito Fascista, lavorò come corrispondente estero a Londra e Parigi per il Corriere della Sera e negli Stati Uniti e a Mosca per La Stampa. Dopo aver abiurato il suo passato razzista e le sue recensioni entusiaste antisemite, i suoi scritti si volsero al reportage di viaggio. Dal 1953 al 1956 girò l’Italia e la raccontò in una trasmissione radio della RAI per poi trasformarla nel libro Viaggio in Italia (1957), la più celebre guida degli anni del Boom Economico. Per anni prolifico scrittore di romanzi e saggi di successo, nel suo ultimo anno di vita fondò Il Giornale (Nuovo) con Indro Montanelli, Enzo Bettiza e Gianni Granzotto.
Luigi Veronelli
Luigi Veronelli (Milano 1926 – Bergamo 2004) è stato un gastronomo, giornalista, editore, conduttore televisivo e filosofo italiano nato da una famiglia di industriali del settore chimico. Laureato in Filosofia e anarchico, lavorò come editore pubblicando tre riviste tra cui Il Gastronomo. Negli anni ’80 fu condannato a sei mesi per aver istigato i contadini piemontesi alla rivolta e occupato la stazione di Asti e l’autostrada come forma di protesta verso un governo indifferente alle problematiche dei piccoli produttori. Come giornalista ha lavorato ventuno anni per Il Giorno e come scrittore ha pubblicato vari titoli, ma è soprattutto come personaggio televisivo – in particolare con A tavola alle 7, il progenitore di tutti i moderni programmi di cucina – che è diventato un personaggio universalmente stimato nel mondo del vino e non.
I testimoni del cambiamento nella cultura alimentare italiana del secondo dopoguerra
L’uomo del Secondo Dopoguerra, conscio di essere l’unico testimone di sé stesso, ritorna al centro del mondo con una consapevolezza storicamente d’appannaggio solo all’aristocrazia e alle classi più agiate: il cibo non è solo nutrimento.
Veronelli, Sereni e Piovene: l’uomo del secondo dopoguerra
Fin dal ‘500 l’uomo, stanco dei canoni rigidi imposti dalla tradizione greca, cerca un’interpretazione personale e soggettiva nella traduzione delle dogmatiche sociali e teologiche impostegli plasmando, nel corso dei secoli, un sentimento di libertà che lo porterà a rifiutare l’orrore e l’autoritarismo e che nel ‘900 darà luogo alla Seconda Guerra Mondiale.
Il ‘900, con l’avvento del Fascismo e del Nazismo, fu impregnato da un orrore e una corruzione che a niente e nessuno deve essere concesso di non sapere. Ad Auschwitz si reinterpretò il concetto di uomo con una tale infamia, con un tale accanimento a rispettare quello che da alcuni era considerato un sublime ideale – con oggetto la definizione di una sottocategoria di uomini utili meno di carne da macello – da porsi domande sull’ipotetica morte di Dio che Nietzsche aveva teorizzato nel secolo precedente.
L’uomo del Secondo Dopoguerra – in un primo momento – si interroga, quindi, sul silenzio, apparentemente inspiegabile, che Dio ebbe nei confronti di quel massacro. Il silenzio di un Dio che non vide, o non volle vedere, l’orrore degli occhi di chi visse lo sterminio della propria gente e del proprio cuore, di un Dio che non impedì al sangue delle vittime di scorrere con una brutalità fino a quel momento inimmaginabile dettata dalla “organizzazione” dell’eliminazione di una razza.
La Seconda Guerra Mondiale fu, per certi aspetti, il “trionfo” di quel sentimento di libertà che animava l’uomo da tempi lontanissimi ove le singole nazioni, pur non condividendo sempre gli stessi interessi, combatterono il dispotismo italo-tedesco ridefinendo il concetto di dignità umana.
La costruzione mentale di un cosmo razionale, ordinato, governato da fini ben precisi e retto da un Dio provvidente che rende più sopportabile il dolore dell’esistenza stessa è sventrata, quindi, dalla “morte di Dio”, intesa come il crollo di tutte le certezze assolute che hanno sorretto l’uomo nei secoli precedenti, stabili centri di gravità capaci di esorcizzare lo sgomento provocato dal flusso caotico e irrazionale delle cose. L’uomo, comprendendo che una possibile evoluzione è necessaria unicamente al singolo individuo, pone la libertà come assioma imprescindibile del suo vivere e vede nella Seconda Guerra Mondiale “il mondo” su cui porre le radici per costruire il proprio futuro.
Tuttavia è un mondo in cui il fantasma della miseria fa paura: nel 1946 si mangiava ancora con le tessere annonarie* e le razioni italiane erano le più basse d’Europa, addirittura più basse di quelle della Germania. Se un uomo per vivere in salute ha bisogno di circa 2500 kcal al giorno, la razione a sua disposizione era di appena 700 kcal appena raddoppiabili con il libero mercato. La produzione dei prodotti agricoli, anche di quelli che erano alla base dell’alimentazione, diminuiva mentre i prezzi aumentavano sensibilmente, tanto che per alcune derrate si videro anche aumenti di trentacinque volte. Il calo della produzione dei prodotti agricoli, in un primo momento, non era dipeso da un calo delle superfici atte alle coltivazioni, ma all’abbandono dei campi durante la guerra – dovuti alla mancanza dei fertilizzanti, degli antiparassitari e del carburante per le macchine agricole – con un conseguente calo dell’indice di produttività.
*Le tessere annonarie (attive in Italia dal 1940 al 1949) erano dei documenti personali che il capofamiglia utilizzava per ricevere la razione di alimenti e merci che spettava alla sua famiglia in un certo periodo di tempo in base al numero dei componenti. Il negoziante autorizzato timbrava la tessera e staccava la cedola di prenotazione mensile. Le date di ritiro e le quantità variavano spesso e venivano annunciate sui giornali o sui manifesti appesi.
L’uomo del secondo dopoguerra era quindi un uomo solo in apparenza libero in quanto la miseria e la crisi alimentare limitavano di fatto le sue possibilità. Inoltre l’assetto agrario nazionale vacillava “indifeso” per lasciare spazio alle industrie, già allora, anzi allora più di oggi, “ecomostri”.
Nel 1948 Emilio Sereni, all’epoca Ministro dei Lavori Pubblici per il Partito Comunista, scrisse Mezzogiorno all’opposizione, un saggio in cui si fa testimone del disagio dei contadini e delle proteste che animavano quegli anni per ottenere la ridistribuzione dei terreni incolti, un sistema fiscale favorevole e la riforma del credito agrario. “Vi è in Italia un quarto Partito, che può non avere molti elettori, ma che è capace di paralizzare e di rendere vano ogni nostro sforzo, organizzando il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l’aumento dei prestiti o le campagne scandalistiche. L’esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l’Italia senza attrarre nella nuova formazione di Governo, in una forma o nell’altra, i rappresentanti di questo quarto Partito, del partito di coloro che dispongono del denaro e della forza economica”.
Veronelli, Sereni e Piovene: la trasformazione del paesaggio e le nuove abitudini alimentari
Siamo negli anni in cui il paesaggio italiano cambia profondamente: se prima esisteva un confine netto tra città e campagna, oggi è un unicum urbanizzato. Guido Piovene, contemporaneo e politicamente lontanissimo da Sereni (Piovene era fascista), annotava nel suo Viaggio in Italia (1957): “mentre percorrevo l’Italia, e scrivevo dopo ogni tappa quello che avevo appena visto, la situazione mi cambiava in parte alle spalle… industre si chiudevano, altre si aprivano; decadevano prefetti e sindaci; nascevano nuove province […]. In nessun altro Paese sarebbe permesso assalire come da noi, deturpare città e campagne, secondo gli interessi e capricci di un giorno”. Appare evidente quindi come questo quarto Partito era diventato in pochi anni una realtà fattuale che contribuiva al passaggio da un paesaggio agricolo a industriale, dalla campagna-campagna alla campagna-urbana.
Questa trasformazione non solo creò nuove abitudini alimentari, ma – fatto ancor più interessante – cambiò le metriche con cui si giudicava un alimento. Calzante l’esempio del pane, che più di tutti subì le scelte politiche del tempo. Tra il 1949 e il 1956 le nascenti industrie panificatrici furono spinte da due leggi – la prima per i centri abitati sopra i 3.000 abitanti, la seconda per tutti – che vietavano di ottenere il pane dall’impasto manuale e di cuocerlo nel forno a legna. In un’epoca dove l’Italia era ancora in miseria e il miracolo economico era alle porte, ma ancora di portata inimmaginabile soprattutto per la cosiddetta “gente comune”, si “stangava” il pane artigianale in virtù di quello industriale. Pochi anni dopo, con l’avvento del benessere, questo processo si consolidò anche grazie alla pubblicità. Celebre: “Mangiate ancora come al tempo delle caverne? Invece del pane, cracker Saiwa!” del Carosello. I cibi pronti diventano quindi simbolo di prosperità e progresso, scegliere un cibo pubblicizzato sul giornale o in televisione diviene, quindi, una scelta estetica. Non stupisce, come scrive Frontani (2004), che il consumo di pane diminuisce costantemente fino agli anni ’80. Il giornalista del Corriere della Sera Orio Vergani – che fonderà a Milano l’Accademia Italiana della Cucina – scrive nel 1953: “la cucina italiana muore”.
L’uomo che è sopravvissuto alla Seconda Guerra Mondiale e agli anni di miseria immediatamente successivi vede nella possibilità di consumare una forma di riscatto sociale. Da non dimenticare che sono gli anni in cui gli elettrodomestici entrano prepotentemente nelle case degli italiani e anche le possibilità di conservare i cibi e di cuocerli aumentano notevolmente.
Per quanto una parte della politica – a prescindere dagli schieramenti, come dimostrano Emilio Sereni e Guido Piovene – si renda conto che “c’è un problema” nella gestione del paesaggio agricolo, “l’etica del consumo” non può ancora appartenere all’italiano degli anni ’60 straboccante di voglia di costruire, fare, esplorare, ma soprattutto dimenticare gli anni della fame.
Veronelli, Sereni e Piovene: la “nascita” del gusto
Se da un lato sono gli anni del consumo, e in particolare del consumo di cibi pronti da mangiare, dall’altro sono gli anni in cui il sovversivo – e non solo della cucina – Luigi Veronelli fonda la rivista “Il Gastronomo”. In un’intervista del 1981 dichiara: “Quando, 1956, pubblicai, alcuni mesi dopo Il Pensiero rivista di filosofia teoretica, Il Gastronomo rivista di gastronomia, non ebbi il minimo imbarazzo. Che è la gastronomia, infatti? Un atto del giudizio, teso a separare, nel campo degli alimenti ciò ch’è buono da ciò che buono non è”. Certo, già nel tardo Barocco alcuni cuochi pionieri del gusto e degli accostamenti avevano rinnovato la mensa dei ricchi, ma pensare che chiunque potesse scegliere il cibo in base al suo gusto e a ciò che ritiene buono è una novità assoluta. La rivista di Veronelli, nata per promuovere, proteggere e valorizzare i “giacimenti gastronomici” e in particolare il vino diviene il mezzo per tutelare le tipicità nazionali ponendo le basi per la successiva nascita della De.Co. (Denominazioni Comunali, Legge n° 142 dell’8 giugno 1990).

Luigi Veronelli fonda così il giornalismo enogastronomico e, anche se in una fase iniziale, parla ad un pubblico elitario, quando nel 1973 entra in Rai tutto cambia. Nasce il padre degli attuali programmi di cucina: A tavola alle 7, che, grazie alla co-conduzione di Ave Ninchi – attrice corpulenta, aggraziata e brillante amata per le pellicole a fianco di Totò, Alberto Sordi e Peppino de Filippo – raggiunge un pubblico sempre più ampio. La polemica e puntuale divulgazione di Veronelli non è più riservata a un gastronomo colto e ricco, ma è appannaggio di chiunque possieda una televisione. Negli anni ’70 la televisione è già il mezzo di comunicazione di massa e – tra una pubblicità di un cibo pronto industriale e l’altra – Ave Ninchi è il ponte di cui Luigi Veronelli ha bisogno per sensibilizzare quante più persone per anticipare la moderna concezione della gastronomia. “Il maiale è come l’Aida: non c’è proprio niente da buttare via!” esordisce Ave Ninchi nella puntata 8 del 10 maggio 1974 di A tavola alle 7. Particolarmente interessante è il dibattito sulla scelta tra maiale grasso e maiale magro in base agli utilizzi: un tema che sarebbe attuale nel 2022.
Con Veronelli il gusto ha non più solo una valenza estetica, ma anche etica. La scelta di un determinato cibo non deve essere vista solo per definire lo status della persona, ma racconta di sapori unici propri di territori da proteggere.
“La morte di Dio” avvenuta durante la Seconda Guerra Mondiale, quindi, è complice di una nobilitazione della gastronomia e del piacere del cibo. Dopo un primo periodo in cui industrializzazione e consumo sono visti come mezzi per dimostrare l’uscita dalla miseria, nasce il gastronomo moderno.
Il buongusto è qualcosa che va oltre il gusto e ciò che piace in senso stretto: è un moderno Grand Tour tra i prodotti di qualità del Bel Paese che il “nuovo uomo” – consumatore e libero – può non solo vedere, ma anche scegliere e tutelare.
Cheers 🍷
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